Maledetto Settembre

Sono andata a correre per liberare un po’ la mente.
Settembre è un mese meraviglioso, ma non nego che porti con sé anche ricordi “ribalta umore”.
Vista la mia recente inclinazione a vomitare i miei pensieri per stradelli di campagna, zampettando come una cimice in avaria, ho deciso che anche oggi, questa pratica, poteva fare al caso mio per svuotare l’incasinatissimo armadio che mi ritrovo al posto del cervello.
Ho messo le cuffie e fatto partire la musica.
Niente pop demenziale oggi, ho pensato, voglio qualcosa di più serio.
Pink Floyd.

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Ottimo Mara, se vuoi tirarti su di morale, ascoltare The Wall mi sembra proprio la cosa più azzeccata. Un po’ come voler ritrovare l’allegria guardando Schindler’s list.

Ma a me i Pink Floyd piacciono un sacco, quindi depressione o meno, ho deciso di correre ascoltando The Wall.
Inutile dirvi che l’armadio al posto del cervello è diventato una fabbrica di agghiaccianti pensieri, di turbe pericolose e insidiosi ritornelli di disfatta emotiva.
Non posso mettermi a piangere mentre corro, ho pensato, la gente crederà che sia pazza o, peggio ancora, che mi sia successo qualcosa di terribile.
Allora magari trasformo il pianto che vorrei farmi, in una grassa risata! Certo Mara, la gente penserà invece che ti sia successo qualcosa di meraviglioso, che ti sia nato, ad esempio, un cucciolo di foca a casa, non penserà mai che tu sia pazza.
Insomma, una corsa che si è trasformata in tragedia.
Intanto Roger Waters continuava a gridarmi nelle orecchie.
E io volevo rispondergli, dirgli che mi sono sentita così un sacco di volte, soprattutto a settembre, quando persone a me care hanno deciso di andarsene.
Porca puttana Mara, hai detto che non volevi piangere. Stacca sto cazzo di album e metti le Tagliatelle di Nonna Pina, vedrai che con quelle ti passa la voglia di piangere. Forse ti passa anche quella di ridere, ma almeno smetti di sembrare una povera scema isterica che vuole scoppiare a piangere.

Fortuna che ho la resistenza fisica di una ruota sgonfia, e che i miei giretti svuotapensieri durano poco meno di un’ora.
Sull’orlo del precipizio, le lacrime hanno deciso di non scendere. Vicino a casa ho tolto poi le cuffie e mi sono fermata a osservare un signore che parlava con le sue galline.
Ho immaginato che gli stesse raccontando di un vecchio amico che non c’è più.
E allora mi sono calmata.
Lui mi ha sorriso.
Io ho sorriso a lui.
Poi una gallina ha razzolato per terra come a dire “Quindi? Continui il tuo racconto?”
E lui l’ha accontentata.

Forse sembriamo tutti un po’ pazzi quando abbiamo voglia di ricordare qualcosa del nostro passato.
Ma saremmo di certo più pazzi ad impedirci di farlo.

Casini e passeggiate

Quando ho dei casini, sono solita farmi una passeggiata.
E con casini intendo quelli tipici femminili, che possono andare dall’amore a non si sa bene cosa; quelli insomma che hanno un capo ma mai veramente una coda.
E oggi, visto che mi sento di avere dei casini, sono andata a camminare. Mi sono infilata le mie scarpe da tennis e mi sono diretta verso la campagna – non sopporto restare in paese quando ho dei casini e non so se riuscirò a risolverli in fretta.
Mentre camminavo pensavo ovviamente a loro e a come poter ritornare a casa senza averli ancora addosso.
Mi sono ritrovata a pensare se tutti quelli che vanno a correre o a camminare hanno dei casini come me, o se invece fanno quello che fanno perché gli piace e basta – ammetto di aver pensato di fermarne qualcuno e chiederglielo.
Il fatto è che già camminare è una faticata, farlo con un peso sulle spalle ancora di più.
Ma c’è da dire che farlo in campagna è tutta un’altra cosa.
Anche avere i casini in campagna è diverso che averli in paese, e avere la possibilità di andarseli a risolvere in mezzo a una stradina ghiaiata tra rane bue e aironi, non è poi così male.
Mio nonno mi diceva sempre che non c’è posto più bello al mondo delle nostre campagne. E forse aveva ragione.
Certo è che se oggi fosse ancora vivo e fosse venuto in campagna con me a fare una passeggiata, i casini me li avrebbe fatti passare facendomi zappare e non contar le nuvole.
Ma lui oggi non c’è e io mi sono dovuta accontentare di raccontarmi ai papaveri nei fossi.
Camminando e pensando che, una volta tornata a casa, i miei tormenti avrebbero profumato meno di sfiga e più di polvere e erba di campo.
Almeno fino alla doccia.